Secondo la legge italiana, la "libertà di insegnamento" è sacra. In ambito europeo, soltanto in Belgio l'insegnamento ha le stesse caratteristiche. Pertanto l'insegnante, al di là di programmazioni più o meno coatte, potrà esprimere la sua attenzione ai bisogni culturali dell'allievo e la sua creatività, elaborando un percorso che tenga conto del contesto, flessibile per non ingabbiare se stesso e gli allievi dentro schemi precostituiti. La creatività dell'insegnante e degli allievi verrà altamente sollecitata; il risultato sarà un itinerario ricco ed originale.
Un percorso efficace per lo sviluppo cognitivo e comportamentale,
comunque, non potrà procedere a caso: l'insegnante dovrà essere
cosciente degli obiettivi da raggiungere sia nel medio che nel lungo
termine ed essere fiducioso nelle proprie capacità: la sicurezza di far
raggiungere alti obiettivi cognitivi agli allievi non dovrebbe
risiedere nel seguire pedissequamente i programmi ministeriali, che,
per essere precisi, rappresentano solo delle indicazioni, ma
nella capacità di cogliere al volo suggerimenti, variazioni e
opportunità non rigorosamente programmate che una situazione dinamica
di classe può offrire.
Il percorso può cambiare se ci sono gli
stimoli adeguati. Voler mantenere a tutti i costi una programmazione
fissata inizialmente senza tenere conto degli stimoli e delle
condizioni della classe indica scarso rispetto per gli allievi e
sfiducia nelle proprie capacità di adattarsi rapidamente a condizioni
che cambiano. Come si può pretendere di costruire una mentalità
flessibile negli studenti, come oggi si richiede, se l'insegnante non è
in grado esso stesso di essere flessibile e di mettersi in gioco?
Quando l'insegnante ha preparato lo scenario di cui sopra, dovrebbe porre domande adeguate, sollecitare ipotesi e risposte, far notare eventuali contraddizioni, stimolare la riflessione individuale e collettiva, ascoltare e guidare le discussioni senza esprimere giudizi di merito: forse questo è il compito più difficile!
E' stato messo più volte in evidenza (Vedi Riferimenti 1-2-3-4) in conferenze internazionali, che sono state occasione di incontri e discussioni, la sostanziale insensatezza dell'attuale modo, diffuso nel mondo occidentale, di valutare l'apprendimento. La valutazione tradizionalmente viene fatta basandosi su interrogazioni, test o compiti scritti in cui l'allievo deve dimostrare quanto riesce ad aderire al "modello interpretativo", spesso rigorosamente disciplinare e statico, proposto dall'insegnante. Abbiamo esaminato la sostanziale inutilità di schema di "trasmissione" delle conoscenze, nel quale gli studenti vengono normalmente abituati a prendere appunti durante la lezione e ad integrarli su uno o più testi durante lo studio a casa.
Non si tratta di modificare gli stili, ma i riferimenti concettuali
non solo per quanto riguarda l'apprendimento ma anche per la sua
valutazione.
Se, per esempio, la classica lezione frontale non venisse presentata come un "sapere precostituito",
ma come la base di una discussione nella quale gli studenti vengano
chiamati ad esporre le proprie idee e concezioni, lo stile rimarrebbe
in gran parte immutato. Sarebbe tuttavia necessaria l'introduzione di
un elemento fondamentale dettato dal riferimento concettuale diverso e
cioè l'ascolto degli allievi da parte dell'insegnante (che costituisce
un primo elemento di valutazione) e l'accettazione da parte di questi
di mettersi in discussione.
Qualcuno obietterà che in tal modo "si perde troppo tempo", ma la "perdita di tempo" va commisurata con l'efficacia di apprendimento e non con l'efficienza di memorizzazione.
Deve quindi necessariamente cambiare anche il modello di valutazione.
Ormai, almeno in alcuni ambiti di ricerca a livello internazionale (Vedi Riferimenti 5-6) sta maturando una nuova consapevolezza riguardo a tale problema. A una recente conferenza mondiale organizzata dall'Unesco (Vedi Riferimenti 7), la psicologa cilena Consuelo Undurraga ha stigmatizzato la tradizionale valutazione definendola "una violenza fatta sugli allievi".
Occorre dunque rompere con il tradizionale modo di intendere la
valutazione. Purtroppo, con la scusa di rendere obiettiva la
valutazione dell'allievo, si cerca di renderla sempre più simile a
quella del modello anglosassone, peraltro contestatissimo e causa dei
gravi inconvenienti che l'accompagnano.
Infatti, ad es. in Inghilterra, sempre per una presunta obiettività, la valutazione è affidata ad "enti"
esterni alla scuola. Questi enti (privati) preparano batterie di test,
sulla base del National Curriculum, uguali (a seconda dei livelli
scolastici) per tutti gli studenti, sudditi di Sua Maestà.
Se in una scuola, il "ranking" (posizione in graduatoria,
legata alle votazioni finali riportate dagli allievi) risulta inferiore
alla media nazionale, la scuola viene chiusa, gli insegnanti licenziati
e la scuola viene affidata a privati.
Non a caso, nel sistema formativo anglosassone (e, ahimé, ora anche in quello italiano), si parla di "produttività" e di "efficienza", termini mutuati dal linguaggio economico-industriale, come se gli allievi fossero "prodotti"
inanimati che devono essere confezionati ad arte e non degli esseri
pensanti, la cui evoluzione sul piano fisico, psicologico e culturale
deve essere seguita e stimolata con ogni cura.
Non si parla invece di "efficacia",
termine indubbiamente più appropriato. L'apprendimento è efficace se è
duraturo e se l'allievo è in grado di usare le conoscenze acquisite in
contesti diversi ed è, per dirla in termini informatici, di creare una "rete di link", peraltro assolutamente personale e che può rappresentare una ricchezza individuale da valorizzare ed implementare.
I docenti anglosassoni, stante questa situazione, non si preoccupano degli obiettivi culturali e dell'apprendimento degli allievi, anche se questo avviene con grave disagio da parte dei docenti più responsabili e consapevoli, bensì concentrano i loro sforzi a fornire "nozioni" (non "conoscenze") utili per un buon addestramento (non "educazione"). Forse un tale sistema può risultare più efficiente (non "efficace") per il mercato; per la società attuale e, soprattutto, per quella futura, non è né efficiente, né efficace.
Inoltre, il National Curriculum (peraltro rifiutato dalle regioni "anarchiche"
del Regno Unito, quali Galles, Scozia ed Irlanda del Nord che hanno
preteso ed ottenuto, pena gravi tensioni politiche, di avere completa
autonomia per ciò che riguarda il sistema formativo), struttura non
solo i materiali d'insegnamento, ma anche i tempi globali (per lo
svolgimento di un determinato contenuto) ed il tempo di ciascuna
lezione.
Infatti, ogni ora di lezione deve essere dedicata
un quarto d'ora a spiegazioni, un quarto d'ora a interrogazioni, un
quarto d'ora a lavori di gruppo ed infine l'ultimo quarto d'ora a
discussioni. Per evitare all'insegnante la seccatura di controllare il
tempo, in tutte le scuole inglesi una campanella ogni quarto d'ora scandisce il tempo!
Ancora una volta si può osservare che questo sistema è efficiente (come una catena di montaggio). Ma è veramente funzionale all'apprendimento?
Da questo può derivare una riflessione per insegnanti e ricercatori del Progetto Set: se si preferisce il modello costruttivista da noi descritto, i materiali devono essere flessibili, aperti anche all'apporto creativo dell'insegnante e degli allievi che li utilizzeranno pur non avendo partecipato ai progetti Set.
Inoltre, riteniamo che la valutazione dovrà essere fortemente
centrata sull'allievo. Questo significa che si dovrà valutare, per ciò
che concerne le scienze, come si comporta l'allievo di fronte a
problemi nuovi, come riesce ad utilizzare le conoscenze acquisite
integrandole, cioè nello studio di fenomeni "grezzi", cioè non
strettamente disciplinari ed in contesti anche non scolasticamente ben
definiti (fuzzy), anzi sarà proprio l'osservazione del comportamento
degli allievi in tali contesti a far capire all'insegnante se
l'apprendimento c'è stato ed è reale.
Si andrà ad esplorare il suo modo di ragionare e di costruire un suo percorso di conoscenza in modo autonomo. Con
questo non si intende demonizzare i test; questi possono essere uno dei
tanti strumenti di valutazione e di autovalutazione (ma non illudiamoci
che siano un mezzo obiettivo per misurare l'apprendimento!).
La valutazione dovrà essere collaborativa, cioè dovrà coinvolgere
anche l'allievo singolarmente e la classe. Questo implica che il
docente guidi ognuno alla conoscenza di se stesso e
all'autovalutazione.
Lo studente dovrà essere valutato per quello
che sa fare e per le potenzialità che dimostra. Gli interventi
appropriati in una discussione possono avere lo stesso valore di
un'interrogazione singola. Si tratta di una valutazione fatta in modo
continuativo, giorno per giorno, di tutte le attività in cui lo
studente è coinvolto.
Questo richiede da parte dell'insegnante uno sforzo per una maggiore attenzione (e rispetto) verso ogni forma partecipativa dello studente alla vita scolastica.
Ci sono esperienze significative, tanto per citarne alcune, nel Québec e nello Utah. Queste sono state presentate già nel 1998 alla Conferenza Annuale dell'EERA (European Education Research Association) a Lubiana nel 1998, a testimonianza del fatto che alcuni ambienti di ricerca didattica, pur nel mondo anglosassone, sono sensibili al problema della valutazione ritenendola, a ragione, un nodo cruciale del sistema formativo.
A nostro avviso, i materiali da usare in classe dovrebbero sempre avere un'impostazione metodologica che stimoli gli allievi alla "scoperta" e ad un'acquisizione "stabile" di conoscenze e competenze. La valutazione dovrà essere coerente, cioè andare ad accertare che ci sia stato un apprendimento "vero" e che l'allievo abbia "imparato ad apprendere".
E' appena il caso di far notare che l'insegnamento teso ad un apprendimento "reale" è "efficace", come richiede la società del terzo millennio ed anche "efficiente", come richiede il mercato.